martedì 15 marzo 2011

Le danze che abbiamo dentro

Come di un'arpa, sinfonico e pieno. Eppure sottile e quasi disegnato in maniera invisibile nell'aria. Così gli era apparso il suono di uno strano strumento battuto a piccoli colpi da un musicante dalla pelle olivastra davanti alla Mezquita di Cordoba.
A differenza di ciò che era accaduto in molte altre occasioni, quando aveva avuto a che fare con persone con cui voleva intrecciare il suo cammino, questa volta Sonador non proferì parola. Stette invece fermo ad ascoltare, i sensi completamente tesi a captare quel che la musica aveva da dire.
L'uomo impegnato col cembalo era praticamente fuso al suo strumento. Disseminava intorno, a colpi di martelletto, lo spirito antico della città moresca rappresentato con uno di quegli arpeggi che, nel tempo moderno, sono soliti costituire la parte sonora delle fiabe.
Nulla da obiettare, disse a se stesso El Sonador. Doveva proprio essere una cosa definitivamente importante, quel che la musica aveva da dire. Perché era in grado da sola di riempire la scena di quel pomeriggio domenicale piuttosto appesantito per la verità da una pioggia familiare soltanto agli autunni inoltrati.
E invece era già marzo, continuò a pensare mentre se ne stava in una media depressione, la primavera ancora allo stadio spermatico. Eppure, sarà anche stato l'effetto magico da principe persiano che aleggiava davanti ai suoi occhi grazie a quell'arpeggio. Anzi, mettiamoci pure la fiacca dovuta al viaggio poco entusiasmante che aveva intrapreso la mattina stessa da Siviglia, viaggio soporifero tale da ammutolirgli le percezioni. Date in premessa queste ipotesi plausibili, il dato di fatto era però che a Pablo sembrava di aver fatto irruzione in un'epoca differente da quella reale. Una cosa da emozioni fantascientifiche, tipo la bolla primordiale o lo spazio siderale.
Ma non affibbiamogli un nome a questa cosa delle emozioni e lasciamo soltanto spazio all'evidenza. Quello che non solo Pablo, ma che tutti coloro i quali erano stati catturati dalla musica in quella piazza che sapeva di Maghreb furono in grado di percepire, era una sorta di progressione stile trip, per darvi un'idea. Uno di quei viaggi in cui anche l'incedere delle stagioni può prendersi una netta pausa se gli pare. Sonador, come molti altri, subì tutta la potenza di quell'effetto musicale, sparata nei condotti cerebrali a velocità supersonica. Era una dimensione simil-acida, in cui anche l'inverno di colpo si era capovolto. Congedato, signori. Svitato dalla sua posizione abituale di stagione conclusiva e surclassato da sua maestà il sole, piombato all'improvviso sull'assemblea di uomini e donne inzuppati di suono e ora pregnanti vita come i frutti buoni dell'albero del Paradiso.
A seguito dei colpi sul cembalo, l'uomo col turbante era riuscito nell'intento di illuminare tutta quell'assemblea rimasta ad ascoltarlo come se fosse esiliata dal suo spazio reale.
Come effetto di ciò, Sonador e alcuni altri superarono il musicante con lo sguardo e si spinsero fino al vicolo che si apriva là dietro di lui. Non fu difficile allora individuare l'insegna arabeggiante che indicava l'ingresso della Teteria Al Hamid. Con mossa automatica, i passi flemmatici ma continui, Pablo si accompagnò sino alle porte del locale. Chinò la testa e passò sotto l'arco marmoreo da cui si dipartiva un mondo nuovo, fatto di aromi e delicatezze visive. Era l'incenso stavolta a respirargli dentro. E pur sempre una musica, di radice marocchina, vibrava nell'aria. Aveva già cominciato a cullarlo sui morbidi divani di velluto. Là dove un trio di donne dagli occhi neri e tondi e le ciglia lunghissime si lasciava fluire in corpo una bevanda che poteva apparire té o allo stesso modo linfa purificante per ogni pensiero. Quello di cui forse aveva proprio bisogno da tempo, El Sonador lo colse tra quei profumi, avvolto dalla morbidezza dei cuscini. Le ombre mischiate in forme stellari negli angoli illuminati dalle lampade mostravano disegni pazzeschi di quello che recitava la sua stessa anima. Ci vedeva scritti i nomi dei ragazzi e delle ragazze che aveva incontrato, la sua storia solo abbozzata fino a prima di partire, la storia della sua vita che di colpo aveva preso un'impennata vertiginosa. Vedeva scorrere parte di quello che aveva dentro sul muro di quella che sarà anche stata solo una Teteria riprodotta, ma era il posto dove ciò che aveva dentro si poteva materializzare. Le ombre delle lampade sul muro erano le danze che da tempo si portava dentro, ancora miracolosamente vive ed espressive a guardar bene nel fondo dei bracieri.

4 commenti:

  1. bello bello caro paolo

    tranne però lo stadio spermatico e la media depressione.... hai uno stile quasi proustiano non mi cadere così .... :-)
    ciao ciao
    marcello

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  2. Grazie Marcello! Scusa ma non entro nel blog ormai da una vita. La Spagna è così lontana!
    Ci rivediamo, vero, per avventure "letterarie"?

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  3. Grazie per essere passato dal mio blog.
    Il tuo è bello ed originale(come quello di Nicola
    che è bravissimo!).

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