lunedì 14 febbraio 2011

Premesse: MADRID

Il problema non era fissare una cosa e pensare ad altro. Quello lo sapeva fare benissimo, anche se mai da sobrio, e ormai aveva imparato a conviverci. Il problema è che lui non era Bukowski.
E non essere in grado di mollare la bottiglia né con lo sguardo né con la mano senza dar vita al minimo pensiero creativo, quello sì era un problema. A cosa serviva emulare il poeta e le sue gesta alcoliche senza lasciare traccia di sé?
Solo dolore. Puzzo di alcool e insoddisfazione. Questo gli rimaneva addosso. Non smetteva di ubriacarsi e nel frattempo il monitor restava bianco, senza il minimo segno di quelle formiche impazzite che un tempo erano state le sue frasi. Capaci di renderlo felice. Capace, pensava, che avesse perso la corrente giusta per sempre. Di questo sì che aveva paura.
Nessuna successione di lettere ben congegnate, nessuna frase. Nessun verso, niente di niente. Solo alcool. Sambuca viva, ondeggiante tra lo stretto collo di vetro e le sue labbra. Molto calore in corpo, prepotente, lo riempiva fino alle viscere e durava poco, solo il tempo di un altro sorso.
Ma non mollava la presa. Era imbevuto d’alcool e i depositi dei suoi pensieri peggiori restavano sul fondo. Tutto il resto sgorgava. La parte buona della sua testa galleggiava e se lo portava lontano. Ma senza lasciare traccia digitale o d’inchiostro. Questo era il problema.
Spense il display, disperato. Si alzò traballando dalla sedia. Nuvole e oscillazioni in tutta la stanza lo avvolsero. Alla finestra la luce di un lampione giallo gli infastidiva gli occhi e lo spingeva a guardare più in basso, cosa che poteva fare con moderazione. Persone raggruppate sul marciapiede, gli pareva. In fondo, una minuscola piazza, una piccola folla intorno alle panchine. Un bar aperto. C’era vita là in fondo, pensò, e forse, per questo, valeva la pena avvicinarsi.
Si portò la Sambuca per non sembrare fuori luogo, laggiù dove vibrava la vita che somigliava vagamente a una miniatura della Malasaña de Madrid.
- Ay la vida! - si lamentò.
- Finita in una bottiglia nella notte in cui canta l’amor!
Valentino il Santo scandiva i ritmi monotoni di quella serata piatta e senza Gabriela. Luci soffuse dietro le tende alle finestre, gli occhi ipnotici dei palazzi serali a lume di candele sonnolente. Ay l’amor! Si penava l’alma con queste parole sconsolate, stringendo le labbra a piccoli sorsi, vittima del fissare sempre la solita cosa e del non saper più pensare ad altro, se non a lei. Nascosta forse dentro quelle mura, in tutte le camere da letto dove l’ubriaco Cinaski era stato. Odiava Cinaski. Per quel suo strapotere erotico e vecchio che anche Vinicio invidiava. La sua eccentrica poesia alcolica. La detestava.
Non c’era poesia invece per lui, era finita. Il vetro vuoto, ora presa inconsistente nella sua mano, la rappresentava come una bolla d’aria svanita in quel barrio che lo raccoglieva fradicio e da buttare. Nessuna musica buona, nessun botellón. La strada del Santo era vuota e piuttosto acida nell’odore. E lui non era Cinaski, non era Bukowski.

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