giovedì 24 febbraio 2011

Premesse: CADIZ (Sonador a la fiesta)

Sonador si era spinto nella parte più vecchia della città, quella che dava sul mare e il vecchio porto era già uno stuolo di colori e di danze, già alle dieci del mattino. La lunga coda del drago si alzò a sfidare il cielo che era molto basso quel giorno, molto vicino alla pioggia. Il corteo passava e suonava, senza titubanze, sicuro della festa e di nient’altro, disturbato in modo quasi nullo e ancora meno dalle bizzarrie del clima. Avesse imperversato il vento o fosse scoppiato il caldo, non avrebbe cambiato le cose. Quello spazio era così ricco di colore che la luce ombreggiata dalle nuvole, giunte a Cadiz con il solo scopo di minacciare, non poteva deprimerne la forza. Ed era talmente intensa la danza già ribollente da riassorbire l’acqua qualora fosse caduta, ne avrebbe cambiato lo stato con il suo calore dando alla pioggia la consistenza del vapore.
Questo era ciò che chi si muoveva là in mezzo poteva captare. Una forza estranea, quel pizzico folle e vitale che contamina l’animo umano in maniera scintillante solo in determinate giornate dell’anno. Ovvio che se si fosse messo a piovere davvero, i passanti lo avrebbero sentito, ma non si sarebbero fatti spingere al rientro in casa, questo era del tutto escluso. Ci sono momenti in cui importa soltanto la festa.
Nel mezzo del corteo il grande drago del carro maggiore esprimeva spavento misto a euforia con la sua coda a scaglie e la testa umanizzata alla stregua di un mostro reale. Le maschere umane che gli uomini alla guida del mezzo rumoroso ripescavano dai lati della strada erano richiamate alla festa e si spaccavano di risa e di ballo là sopra il carro su cui erano montate senza sapere come.
Tra queste il Sonador, traghettato sotto il ventre del drago, volto paonazzo di trucco e parrucca striata di nero e di rosso infuocata sulla testa. Fu catturato appena sceso in strada già dopo poche decine di metri, convinto di avviare una prima semplice perlustrazione. Fu catturato e non ebbe riposo per quasi venti ore, il ballo calato nelle vene e la bocca presa dalle voci in festa, dal caldo succo di uva nera e dalle lingue di maschere senza sesso distinto. La grande orgia in maschera sul carro che portava al mare, quello che il suo paese aveva sempre sognato. Per diventare più grande di quello che era, per annullare le distanze da quello che intorno a sé si credeva città.
Pablo posò la matita e smise di disegnare. Si avvicinava l’ora di stendere il colore. Nel quadro la primavera era già salita sugli alberi e in fondo alla nebbia ostile si apriva un vortice da cui ripescare le gradazioni ogni giorno più necessarie. Colore di cui tornava a sentire la familiarità.
Per amalgamarsi meglio nella sua creazione, non sfiorò neppure il pennello, intinse invece le dita. Si spalmò la pelle del viso di rosso e di giallo, si alzò i capelli come fiamme e, per qualche istante, rivide il drago a cui aveva pensato. Sulla tela animata si ripromise di entrare con tutto il corpo appena avesse perso l’ultima parte di consistenza. Tre brevi giorni alla partenza.

2 commenti:

  1. vedo con piacere che questo è il primo commento... caro il mio Pablito Sonador! buon viaggio e goditi questo viaggio (e tutti i prossimi!)
    Petrelli

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